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Gli affreschi perduti delle storie di san Francesco a Rieti

basilica inferiore di Rieti

Già al tempo del vescovo Pasquali, la basilica inferiore affidata alla Compagnia era stata interamente riallestita secondo il gusto del tempo e la nuova destinazione d’uso. Il pittore Gioacchino Colantoni, a lungo attivo a Rieti e nel circondario, apprezzato da i contemporanei che volentieri gli affidarono l’incarico di decorare chiese e dimore private, eseguì per la sede della confraternita , una serie di pitture ispirate ad episodi biblici ed alle Storie di San Francesco, cancellate da un radicale restauro tardivamente ispirato ai principi del purismo negli anni Venti del Novecento.

Le fonti d’archivio rivelano che ai bracci del transetto erano collocati gli altari di San Francesco e Santa Chiara: il 23 settembre 1703, quando «per insinuazione del P. Baldinucci Gesuita i Contadini della Città e Campagna fecero istanza alla Compagnia, di poter congregarsi a fare orazioni nella nostra Grotta», si deliberò di collocare presso l’altare di Santa Chiara una tela raffigurante «la Concettione S. Ignazio S. Francesco Saverio», attualmente in attesa di restauro presso il deposito della Pinacoteca Diocesana.

Gli Atti sinodali relativi all’episcopato di monsignor Bernardino Guinigi anno al cap. 20 dettagliate indicazioni De Funeribus, Sepulturis, ac Suffragiis Defunctorum: i cadaveri non dovevano essere seppelliti prima di dodici ore dal decesso; in caso di morte repentino … morbu era anzi prescritto di attendere ventiquattro ore. L’ufficio funebre doveva svolgersi di giorno, a meno che non fosse rilasciata una speciale licenza da parte del Vescovo. Era sempre richiesta la presenza del parroco, a cui competeva controllare che gli animi semplici non indulgessero alla superstizione, ne quid feretro supponatur, aut in Mortui manibus aptetur, aut quidquam committatur, quod ullam false religionis speciem habeat.

Per coloro che avevano il privilegio della sepoltura in chiesa, era previsto che questa  distasse dagli altari almeno due cubiti; inoltre, monumenti ed iscrizioni dovevano essere sottoposti alla debita e previa approvazione del Vescovo, ne indecentia, inculta, ridicola, ab ineptis hominibus sepulcrorum lapidibus incidantur.

Ai forestieri, nell’impossibilità di rendere ai familiari corpora Peregrinorum, qui sepulturam non elegerint, spettava la consolazione di essere deposti in cattedrale, a cura della Venerabile Compagnia delle Stimmate di San FrancescoNel 1784, «li sopravanzi della rendita» vennero utilizzati «in fare il parato Giallo per la Grotta». I fondi erano sufficienti a realizzare subito soltanto «il Parato per il Colonnato della navata di Mezzo con li rispettivi archi di d.a Navata» lasciando ai Camerlenghi dei  due anni a venire l’incarico di completare «tutte le arcate laterali di d.o parato».

Nel 1789, si decise di acquistare una nuova coltre per la cassa dei nobili: si fece  «uno scandaglio in Roma dal nostro Camerlengo, ed il Banderaio, che vorrebbero farla tutta a canto proprio, comprese robba, trina, e fattura, unitamente alle teste di Morto, che vi vanno apposte dipinte in tela a chiari oscuri (…) per il prezzo di scudi dodici». Nel 1827, fu indetta una questua «onde fornire di paglioni la Cassa degl’indigenti».

Qualche anno più tardi, nel 1841, si decise la «rinnovazione delle Bare», con una  premessa lodevole ed interessante: «siccome è ufficio della nostra Congregazione seppellire i Morti così fu rapresentato a Monsig. Vescovo, ed ai superiori della Compagnia di avere Carità con i vivi, e specialmente con i fratelli, che portano i Cadaveri, ai quali si davano Bare pesanti».

Il disegno proposto, approvato dall’architetto e scultore Giovanni Ceccarini, «fu messo felicemente in esecuzione con la spesa di circa scudi dieci». Il progetto della nuova bara destinata a sostituire «la così detta Nobile, disegno fatto da un Capo Maestro Muratore (…) tanto larga, che non si trovavano scabelli corrispondenti nelle Chiese per sostenerla in alto» definisce forma, misure, incastri e proporzioni così da non superare le 100 libre di peso ed i due palmi e mezzo di larghezza. Questa è la descrizione dettagliata della decorazione, parte integrante del progetto: «due tavole  tagliate ad arco sotto la bara formano i piedi alti palmi 3 e sopra alte due palmi la testa della bara (…) rappresenta in tre monti il calvario e sono circondati da due fiaccole capovolte con la fiamma perché la vita è finita, il piede è rigato giallo e bianco e nelle lunette vi è dipinta l’ellera in giallo, poiché rappresenta la nostra immortalità nella gloria, nello interno dei monti tanto dentro, che fuori vi è rilevato lo stemma di S. Francesco nella testata a piedi è intagliato l’orloggio a polvere, un libro chiuso, che rappresenta il Giudizio, un vaso chiuso di profumo ultima gloria del nostro corpo».

Testo a cura di Ileana Tozzi

Foto di  Monica Domeniconi

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