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Greccio, Francesco e il primo presepe: una coscienza scomoda e vitale

È stato un incontro pensato per essere «una tessera del “puzzle” che si sta componendo a Rieti alla ricerca del volto di Francesco», quello svolto con la storica Chiara Frugoni nel pomeriggio di domenica 22 ottobre nel salone del Palazzo Papale. Un appuntamento che va dunque letto accanto alle iniziative dell’Ottobre Francescano, al ritorno delle clarisse nel monastero di Santa Chiara dopo i problemi suscitati dal terremoto, alla costituzione a Rieti della comunità interobbedienziale che vedrà un conventuale, un cappuccino e un minore muovere insieme i primi passi il prossimo 7 dicembre.

E non solo, perché il pomeriggio di studi prelude ad un altro aspetto dell’indagine sul “Francesco di Rieti”: quella Valle del Primo Presepe che dal 2 dicembre al 6 gennaio proverà a mettere insieme un percorso, da Greccio a Rieti, centrato sul significato francescano e originale dell’invenzione operata dal santo nel cuore della Valle Santa. Perché è vero che il presepe è ormai compreso nell’immaginario collettivo di tutti i popoli e a tutte le latitudini, ma è anche qualcosa che proprio nel luogo in cui è stato concepito chiama a una lettura più consapevole e attenta, per non andare a rimorchio di un’immagine falsa, stereotipata e per certi versi controproducente.

«Questo puzzle – ha spiegato il vescovo Domenico introducendo la studiosa – non è un gioco, ma ha a che fare con la memoria del nostro territorio. Invoca una fedeltà al “nostro” Francesco che non va data per scontata, accontentandosi delle interpretazioni prevalenti che si sono affermate e in qualche modo hanno condizionato il nostro approccio». Si tratta infatti di immagini che «penalizzano il nostro territorio, che invece è custode di una memoria di Francesco che è forse la più conforme all’originale».

Una dimensione resa alla perfezione da Chiara Frugoni, che appoggiandosi ad alcune immagini, ha portato alla luce il lavoro di messa al margine dei fatti di Greccio. «Noi – ha spiegato – siamo condizionati dagli affreschi di Assisi, che hanno tanto contribuito a imporre all’immaginario collettivo un Francesco sostanzialmente inventato». Dietro alle pitture si trovano infatti le esigenze di un Ordine religioso che vive il contrasto tra gli ideali di strettissima povertà voluti dal santo fondatore e quelli, molto diversi, dei frati del tempo. Basta confrontare la fastosa rappresentazione fatta da Giotto nel ciclo di scene a fresco delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, con la cruda realtà della grotta di Greccio per avere la misura di quanto il messaggio del Poverello sia stato completamente travisato.

La contesa è tra quanti avrebbero voluto portare avanti “qui e ora” quello che Francesco ha detto, e la posizione, ormai dominante, di quanti preferivano vedere in Francesco un precursore, che aveva realizzato una vita ispirata al Vangelo, ma in tempi non maturi perché il mondo lo seguisse. È per questa strada che le biografie su Francesco sono diventate più popolari dei suoi scritti, che pure sono le sole fonti che possono davvero rendere chiaro quello che voleva dire. Ed è allo stesso processo che va attribuito lo scarso successo iconografico del presepe di Greccio, al quale la Chiesa di Rieti vuole invece tornare.

Con uno sforzo di comprensione che serve per non assecondare l’immagine addolcita e stereotipata di san Francesco; per tornare a vedere in Greccio i tratti di quella coscienza scomoda che è il sottofondo religioso e culturale del territorio: una dimensione dalla quale non dovremmo mai smettere di trarre stimoli e incoraggiamento.

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