Uncategorized

La Nepeta cataria L. comunemente chiamata erba gatta

Questa settimana scopriremo quale potere nasconde il suo nome e quali vantaggi può offrire ai nostri giardini o alle nostre case l’erba gattaia, custodita all’interno dell’Hortus Simplicium e tanto amata dalle api e dai gatti.

La Nepeta cataria L. è una specie originaria del Mediterraneo orientale e delle zone desertiche e subdesertiche dal bacino del Mediterraneo all’Asia centrale. In Italia è presente su tutto il territorio, ma non si è certo se la sua crescita sia spontanea o invece legata all’importazione dall’Oriente in passato. Privilegia incolti, ruderi, macerie e vecchi muri fino ai 1200 metri di altitudine.

Descrizione
La Nepeta cataria L. è una pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. Dalla radice tuberosa si dipartono i rizomi; il fusto è eretto, ramoso, vellutato, spesso arrossato alla base e può raggiungere un metro di altezza. Le foglie sono di colore verde-grigio, pubescenti nella pagina inferiore, sub-glabre in quella superiore, picciolate, con lamina triangolare, cuoriforme alla base, grossamente dentata sul bordo. La fioritura è progressiva, prolungata e avviene dal mese di giugno a quello di agosto. L’infiorescenza è ramosa con verticillastri più o meno distanziati, all’ascella di foglie simili alle normali mentre le superiori sono progressivamente ridotte, le bratteole sono lanceolate ed acuminate. I fiori sono bianchi picchiettati di porpora, il calice è pubescente, quasi eretto, a cinque denti triangolari, la corolla è poco sporgente dal calice con labbro superiore dritto a due lobi, il labbro inferiore è concavo a tre lobi, gli stami sono quattro di cui due più lunghi.
Il frutto è un microbasario con nucule lisce, glabre o con corti peli all’apice, di color castano.

La pianta e i gatti
L’epiteto specifico cataria deriva dal greco katta e sta a significare gatta, forse attribuitole per l’effetto che questa pianta ha nei confronti dei felini. La maggior parte dei gatti sembrano infatti incapaci di resisterle e una volta entrati in contatto cominciano a odorare, leccare, mordere e a strusciarsi sulle foglie, iniziano a saltare, cacciare gatti immaginari, mostrando segni di eccitazione sessuale quasi a sembrare di avere allucinazioni visive ed acustiche, dando però allo stesso tempo la sensazione di provare benessere. L’effetto svanisce all’incirca dopo quindici minuti. Responsabile di tale atteggiamento da parte dei gatti è il nepetalattone un composto simile ai loro feromoni e che fa parte di un gruppo di sostanze dette iridoidi. Sebbene sia presente in altri vegetali della stessa famiglia, manca invece nei parenti più stretti: non si trova nella menta, nel basilico, nel rosmarino, né in molte altre piante della sottofamiglia Nepetoidea. L’aumento della frequenza di gioco che si osserva nei gatti che hanno a disposizione questa pianta suggerisce che questi animali provano un miglioramento nel loro livello di benessere rendendola uno strumento ideale per arricchire il loro ambiente di vita.

Utilizzi
Oltre al nepetalattone il suo olio essenziale è ricco di Timolo e Carvacrolo. Questi principi attivi sono stati sfruttati nella medicina popolare come antispasmodico, stomachico, per ridurre i crampi muscolari, come anticatarrale, sedativo della tosse e del singhiozzo, contro l’acidità dello stomaco, flatulenza e come antisettico. È stata utilizzata anche per favorire il mestruo e per calmare i relativi dolori.
La funzione principale del nepetalattone non è quella di attirare i gatti, ma quella, come altri iridoidi, di difesa da insetti nocivi quali zanzare, scarafaggi e mosche, contro le quali sembra essere efficace quanto alcuni repellenti sintetici.

Frutto d’evoluzione
In uno studio effettuato dal Max Planck Institute for Chemical Ecology è stato sequenziato il genoma di due specie appartenenti al genere Nepeta e confrontato con quello dell’issopo officinale (Hyssopus officinalis L.). Ripercorrendo così il processo molecolare alla base dell’evoluzione della pianta sono stati scoperti una serie di enzimi che portano alla produzione del nepetalattone, evoluti esclusivamente nell’erba gatta e che non si trovano in nessun’altra pianta imparentata.
I risultati dello studio hanno permesso di stabilire che la biosintesi del nepetalattone dell’erba gatta è una capacità riacquistata nel corso dell’evoluzione, perduta e poi, nel tempo, ritrovata.

A cura di Fabiano Ermini e Roberta Zirone – Associazione Hortus Simplicim

Previous ArticleNext Article