#hortussimplicium

L’elleboro fetido

“Da non cibarsene perché velenoso”: questo il significato del suo nome ed il consiglio da fare prezioso per evitare spiacevoli avvenimenti. Scopriamo insieme questa pianta custodita tra quelle velenose all’interno dell’orto.

L’elleboro fetido è una specie di origine caucasica e ben acclimatata in Europa dove si comporta come infestante. Presente in tutte le regioni d’Italia, salvo che in Friuli Venezia Giulia e in Sicilia, cresce in querceti e boschi misti di latifoglie decidue prediligendo radure, il margine dei boschi cedui, difficilmente spingendosi oltre i 1000 metri di altitudine.

Descrizione
L’Helleborus foetidus L. è una pianta erbacea perenne che raggiunge i 60-80 centimetri di altezza. L’ apparato radicale è formato da grosse radici fibrose e scure. I fusti sono di colore verde acido, dall’aspetto legnoso alla base, ricchi di rami, inizialmente con un andamento strisciante per poi assumere un aspetto eretto. Le foglie, attaccate al ramo con un lungo picciolo, si presentano di un colore verde molto scuro e si mantengono tali per molto tempo; quelle inferiori raggiungono dimensioni notevoli, anche di 30 centimetri, ed hanno una forma palmata, mentre verso la sommità del fusto sono intere. La fioritura avviene da gennaio ad aprile e si manifesta con un’infiorescenza composta dai 3 ai 15 fiori. L’apertura di quest’ultimi avviene in modo scalare, la loro forma ricorda quella di una campana, ricurvi, di colore verde acido e con il bordo di colore purpureo. Dai fiori hanno origine frutti chiamati capsule, dalla forma simile a baccelli contenenti semi di colore nero.

Proprietà ed utilizzi
Nonostante l’aspetto piacevole l’elleboro è una pianta altamente tossica. Resa tale a causa delle alte concentrazioni di elleborina contenute soprattutto nel rizoma, il suo ruolo curativo è caduto in disuso. In passato però veniva utilizzato come narcotico per curare le persone affette da malattie mentali anche se al contempo lo si riteneva il responsabile. Durante il Medioevo veniva utilizzato anche nella cura dell’idropisia, per i dolori articolari e per l’offuscamento visivo. Da queste convinzioni presero spunto antiche pratiche popolari che attribuivano virtù magiche alla pianta come quella di forare gli orecchi del bestiame facendo passare attraverso il foro una radice di elleboro per difenderli dai morsi dei serpenti, o di introdurre la radice stessa fra la pelle e la carne degli uomini per difenderli da ogni pestilenza. Applicato sulla pelle lo si riteneva utile nella cura delle malattie cutanee, compresa la scabbia. Gli allevatori di bestiame utilizzavano il decotto della pianta per farne impacchi da applicare sulle ferite degli animali per favorirne la cicatrizzazione. Una vecchia usanza dei contadini, prevedeva anche l’utilizzo per la ramazzatura dei forni a legna, la pianta, avvolta attorno ad un bastone, veniva poi strofinata al loro interno.

Un gene di famiglia
L’elleboro appartiene alla famiglia delle Ranunculaceae e, come altri membri che ve ne fanno parte, può causare dermatiti irritative da contatto a causa della presenza della protossina ranuncolina. Sembra che già nell’antica Roma tali irritazioni fossero sfruttate dai mendicanti per procurarsi vesciche e suscitare così maggiore compassione. Quindi se desiderate raccogliere i semi della rosa di Natale (Helleborus niger L.). è bene prestare molta attenzione.

A cura di Fabiano Ermini e Roberta Zirone per l’Associazione Hortus Simplicium

Previous ArticleNext Article