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Il Convegno di Greccio per riscoprire Francesco e trovare sé stessi

Si è svolto lo scorso fine settimana il ventesimo Convegno di Greccio, quest’anno dedicato alla Regola approvata a Francesco con bolla di papa Onorio III e all’episodio del Natale di Greccio. Uno sguardo alla storia che aiuta a capire anche il presente

«Non è cambiato san Francesco, non è cambiato Tommaso da Celano, non sono cambiate le fonti. La cosa fondamentale è che siamo cambiati noi». Queste parole lo storico Franco Cardini le ha dette lo scorso sabato, accompagnando verso la conclusione il Convegno di Greccio, e sono forse quelle che danno il senso di questo lungo ciclo di studi, giunto alla sua ventesima edizione in coincidenza con l’Ottocentenario della Regola francescana e del primo presepe. Non a caso, dunque, per questa edizione delle giornate di studio che tradizionalmente si volgono nell’Oasi Bambino Gesù, poco sopra il santuario di Greccio, il Centro Culturale Aracœli dei Frati Minori della Provincia di San Bonaventura ha scelto questi due argomenti per stimolare gli interventi degli studiosi. Si tratta di due fatti fondamentali nella comprensione della vicenda del santo e nello sviluppo del francescanesimo. E soprattutto rispetto al primo presepe i fatti e le loro conseguenze forse mai erano stati approcciati con un equivalente rigore scientifico, intrecciando un così importante numero di voci.
La vicenda è nota. Le date, i gesti, le parole sono consolidati nelle fonti, nella tradizione, nelle immagini create dagli artisti con la pittura. Perché, dunque, ritornare a leggere la storia? Si può forse correggere qualche svista, ma non è questo l’essenziale. È ovviamente un esercizio utile da fare, a patto di evitare la pedanteria, ma il punto è altrove.

Ciò che conta davanti alla storia è ripercorrere il cammino a partire dalla propria esperienza, dalla propria contemporaneità. Perché il nostro sguardo sul mondo è diverso da quello che avevamo cento, settanta, o anche solo venti anni fa.

Riconosciamo i personaggi e i fatti in modo diverso, le loro parole ci colpiscono secondo una sensibilità nuova. Si tratta di un’esperienza vera in generale: basta prendere qualunque libro di storia di qualche decennio fa per notare il diverso sapore che hanno le vicende umane ai nostri occhi rispetto al punto di vista di allora.

Una scienza per Francesco
Tuttavia questo scarto è ancora più ampio riguardo san Francesco, il cui profilo negli ultimi anni si è come precisato, messo meglio a fuoco da una nuova ondata di ricerche, di saggi, di indagini, di intuizioni. Tanto che la francescanistica emerge quasi come una scienza a parte nell’ambito del lavoro dei medievalisti. Alcune scoperte e riflessioni hanno rivoluzionato il modo in cui gli studiosi affrontano la vicenda terrena del Poverello. C’è maggiore consapevolezza nell’accostare le fonti, un’accresciuta capacità di distinguere le intenzioni degli autori che agevola lo spirito critico e impedisce di costruire un ritratto del santo semplicemente mettendo vicine le testimonianze. È ormai impossibile ricorrere alla tecnica del patchwork, giustapponendo risorse eterogenee. Ogni documento va letto con gli occhiali della critica, approfondito e utilizzato con la necessaria consapevolezza.
Una lezione emersa in modo limpido durante i due giorni del convegno che ovviamente interessa in modo particolare la platea di studiosi che per due giorni hanno seguito i lavori tra l’Oasi e la chiesa del santuario di Greccio, ma forse si riflette pure sulla percezione comune che le persone hanno di san Francesco. Anche nella cultura popolare sembra stia a poco a poco scemando la visione ingenua e semplificata di un santo genericamente vicino alla natura e ai poveri, in favore di una figura più complessa e stratificata e dunque più interessante e capace di affascianare.

Francesco e noi
È cambiato il punto di vista degli studiosi ma, come nota Cardini siamo cambiati anche noi. E davanti alle disuguaglianze sociali del mondo contemporaneo, nel mezzo della guerra e delle migrazioni, nel confronto con il mutamento climatico e la crisi ambientale, più o meno consapevolmente si avverte di poter cogliere nella storia francescana una chiave di lettura, uno stile di vita, una lezione che da ottocento anni aiuta a capire e interpretare il mondo. Anche riflettendolo per le sue contraddizioni interne, nelle lotte per il potere, nell’essere specchio nello stesso momento dell’eccellenza, della santità, e dell’umana debolezza.
Questo nuovo clima culturale riesce particolarmente prezioso nel Reatino, che ha ospitato molti momenti cruciali della vita di san Francesco e nella piccolezza intoccata della sua eredità – tra santuari, memorie e ambiente naturale – ne conserva forse l’impronta più autentica. Assistiamo a un crescente interesse turistico e mediatico per la Valle Santa, ed è certamente anche il risultato dell’occasione degli Ottocentenari francescani e degli sforzi compiuti da esperienze come il Cammino di Francesco e la Valle del Primo Presepe. Forse però c’è qualcosa di più intimo, che si muove da più sotto spingendo in superficie una curiosità sincera, spontanea, non provocata verso i santuari di Greccio, Fonte Colombo, Poggio Bustone e La Foresta, verso la presenza mai venuta meno dei frati, verso una spiritualità che chiunque arriva riconosce e trova quasi palpabile.

Il Convegno di Greccio è una faccenda per specialisti, di certo non è rivolto al pubblico in senso più ampio. Eppure è una presenza preziosa per tutti, perché pare esserci un’onda lunga, una risonanza di pensiero che a poco a poco passa attraverso i libri, il cinema, l’arte, la musica e sedimenta nella consapevolezza comune. Il compito del territorio potrebbe essere quello di riconosce e dare spazio a questa tendenza, creare le condizioni perché possa respirare, nutrirsi, crescere. Occorre forse lasciarsi permeare, fino a riconoscere nell’anima francescana un dato sicuro della propria carta d’identità.

Autore Frontiera

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