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Presepi d’artista: il legame della Valle del Primo Presepe con la Basilicata

Due territori diversi che si uniscono nel segno del presepe. È nata grazie ad un’amicizia comune, quella con il maestro lucano Francesco Artese, la collaborazione di Apt Basilicata con “La Valle del Primo Presepe“. Un segno importante che caratterizza l’edizione di quest’anno, ed intende esemplificare uno degli obiettivi primari della manifestazione, quello della sinergia e della comunione d’intenti. È così che il Salone Papale di Rieti ha offerto il proprio spazio espositivo ai “Presepi d’artista” giunti dalla Basilicata. 

Il legame

“Ci sono tanti rimandi tra noi e voi, tanti tratti comuni”, spiega la referente Stefania Bruni. “Vi abbiamo conosciuti grazie al maestro Artese che ha creato le opere monumentali presenti sotto gli archi del Palazzo Papale, è nato un bel filo conduttore che porteremo avanti anche per il futuro”. Francesco Artese è noto per aver portato nel mondo, a partire dal 2009, il presepe ambientato nei sassi di Matera: un biglietto da visita di cui la Basilicata va estremamente fiera. “Attraverso l’opera di Artese divulghiamo e tramandiamo le nostre tradizioni lucane, intrise di una fede ancora molto sentita e palpabile”, dice Stefania. Ma il maestro presepista è ormai conosciuto anche nella nostra provincia, per le grandi installazioni a tema francescano visibili tutto l’anno che riscuotono puntualmente un enorme afflusso di visitatori. “Questo legame è ormai imprescindibile – spiega Stefania Bruni – tanto che nel presepe creato lo scorso anno per il duomo di Torino il maestro ha inserito l’affresco di Greccio, come omaggio alla vostra Valle Santa”. 

I Presepi d’Artista

L’artista Salvatore Sava espone nel Salone Papale un’opera creata nel 2004, il “Candido presepe”. Pietra leccese e ferro per realizzare un’installazione fortemente voluta dal professore e storico dell’arte Giuseppe Appella, nata per girare l’Italia. Dopo Santa Maria degli Angeli a Roma e il Duomo di Orvieto, l’opera è arrivata dunque a Rieti. Quaranta elementi essenziali e minimalisti in un omaggio al paese, alla sua gente, e alle famiglie di contadini tra i quali è cresciuto e che, senza volerlo, si scoprono collocati al centro del recinto. 
 
Il Bambino, Giuseppe e Maria sono l’emblema del fuoco domestico, della “casa-famiglia” portata a una sintesi estrema, ridotta a una pura struttura, alla forma squadrata e appena sbozzata della pietra. L’interazione dei soggetti, dalle grandi membra e dalle piccole teste, estremamente semplificate e colte in un movimento appena accennato, diventa un vero e proprio motivo plastico quando, ad esempio, affronta la “moltitudine” del gregge. Il candore, che uniforma il Bambino e le pecore raccolte intorno al pastore, diventa il simbolo dell’innocenza perduta e il motivo conduttore di una meditata essenzialità. “Pian piano arriveranno tutti verso il Bambino – spiega Sava – prima i contadini, poi i nobili”. 
 
L’opera “Il presepe svelato” di Ernesto Porcari è realizzata interamente in ferro, alluminio e cartapesta, e trae ispirazione dal presepe napoletano. Presenti il portatore d’acqua, l’uomo con la lanterna e l’uomo sdraiato, tutti personaggi rappresentativi della scena della Natività in chiave partenopea. Il presepe, costruito soprattutto d’aria che si coagula tra i fili metallici e le vesti di cartapesta, viene come rapito in un luogo remoto, quasi un viaggio nell’aldilà raccontato col ferro e l’alluminio, senza mai perdersi nell’espressione concreta e diretta propria dell’Apocalisse di Giovanni se non della scultura a cui Porcari fa costantemente riferimento. Quanto l’immagine del presepe sia ora reale, genuina, e non frutto di semplici meditazioni, sono proprio i personaggi a dichiararlo, annunciati, insieme al Bambino, da quell’Angelo che si apre a ventaglio su tutto lo spazio scenico per assorbirne, insieme alla stella cometa, la carica profetica e in tal modo penetrare nel più profondo del cuore umano. “L’angelo funge da vera e propria quinta scenica – spiega l’artista – io inoltre ho inserito altri due personaggi del presepe napoletano, lo scriba e l’antico romano”. 
 
“Essendo un pittore ho dovuto immaginare un presepe di narrazione”, spiega l’artista Giuseppe Salvatori. “Ho immaginato una pastorale, ovvero un’umanità in cammino, che non è altro che la definizione più giusta del concetto di storia”. Come in un sogno, il presepe di Salvatori è allestito a mo’ di spirale, da percorrere ed ammirare camminando nello stupore della scoperta. Il sogno è quello del pastorello dormiente Benino, personaggio immancabile nel presepe classico napoletano. “Benino ha questa grande visione onirica della partecipazione alla nascita del Bambino Gesù – dice l’artista – e io ho coniugato gli elementi tradizionali del presepe con quelli che fanno parte della mia poetica di pittore”. Scorgiamo inoltre gli animali classici, ma anche elementi che evocano simbolicamente il concetto di rinascita, come farfalle o lucertole. “Poi ci sono i ritratti degli uomini, su cui io come in un flusso di coscienza proietto forze e fragilità. E poi c’è il pappagallo messo in mano a Gesù, che ricorda simbolicamente la ripetizione della Parola, del Verbo”.
 
Il “presepe foresta” dell’artista frusinate Roberto Almagno è composto da elementi in legno recuperati nei boschi e poi opportunamente lavorati con acqua e fuoco. L’intensità espressiva che risulta da queste forme disegnate nello spazio con mano sicura, con linee franche e rapide, calibrate nelle proporzioni e nei dettagli, passando con scioltezza dalla silhouette della capanna a quella della stella cometa, dell’asino, dell’Angelo Annunciante, dell’albero, del pavone, del dromedario, spande un silenzio e un’armonia che sfora gli angusti confini del presepe e invoca, senza scampo, come diceva Longhi della scultura dipinta del Duecento, la provocazione del colore. “Lavoro su una scultura leggera, quasi sospesa, che possa disegnare lo spazio”, spiega l’artista. “Gli elementi sono dipinti di un nero particolare, un nero giapponese, tanto che seppur leggerissimi molti li scambiano per oggetti metallici, forse si vede l’impronta del mestiere del fabbro, che permea la mia famiglia”. 
 
Nel Salone Papale esposto anche il “Presepe dischiuso” di Bruno Conte, opera del 2007 realizzata in legno. Ogni elemento del presepe si dischiude per consentire l’affaccio di parte dei personaggi che si preparano a ruotare intorno al Redentore, alla magia cristallina di tre pagine di un libro trapassato dalla luce e spalancato a raggiera verso tutti gli orizzonti. Ogni foglio di questi libri, quasi a voler suggerire la sconosciuta o dimenticata ricchezza dei suoi contenuti, non distende solo sagome di personaggi in tensione, non fa emergere dagli angoli fianchi di figure gelate nell’annuncio dell’evento, non ritaglia unicamente gesti contratti tra le pieghe delle pareti. Come negli internari della fine degli anni settanta, costruiti a forma di libri la cui scrittura era formata da altri libri, Conte in ogni pagina apre finestre dalle quali si affacciano Maria, Giuseppe, il bue e l’asino, l’ala di un angelo o i rami di un albero, la cometa come mano che sorge, un volto, una nube, le genti, il pastore, il gregge, i Re Magi, il Mistero nube. 
 
Lucio Del Pezzo prima ha disegnato il presepe, poi lo ha tradotto in ceramica, quindi in legno: è così che nasce il suo “Presepe geometrico”. Intanto, napoletano d’origine, non ha sostituito Napoli a Betlemme, non ha scavato nei magazzini di San Gregorio Armeno e neppure si è fatto condizionare dalle icone del nostro secolo, una sorta di fusione dada-pop dove popolare è inteso tutto in senso meridionale, tra manichini grotteschi e tavole del ricordo. Non ha rinunciato al rito dell’analisi e del rigore, perciò ha tracciato linee e costruito forme all’insegna della geometria, prima di fare ha progettato per vedere, trasferendo nel taglio del legno, e nel colore depositatovi, tutto l’esercizio linguistico messo in atto nel corso di mezzo secolo. Soprattutto, non ha perduto il gusto di un costante interrogarsi e interrogare i segni della realtà, i simboli del grande mistero nello spazio fantastico, arcano ed enigmatico del presepe. L’artista Lucio Del Pezzo si è spento a Milano nel 2020. 

Il Presepe Doo di Giuseppe Pirozzi è composto da trentasei formelle, tutte di cm 33×33, dispiegate sul tondo simile a una volta celeste rovesciata, con al centro, librate verso l’alto, le braccia aperte del Bambino, il volto estatico della Madonna e quello adorante di Giuseppe, apparecchiano doni, simboli, perle di saggezza, annunci, preghiere, inviti: Non temete, oggi nella città è nato il Salvatore.

La solenne e sacra rappresentazione di Carlo Lorenzetti dal titolo “Il Presepe Alluminato” ha poche ma icastiche immagini di uomini e di animali. La vera protagonista è Maria, che distende intorno lampi di vivace leggiadria, senza intaccare il tono del racconto carico di riferimenti al linguaggio teatrale che definisce dimensioni, posizioni, ruoli, unità, stabilità e valore domestico della macchina presepiale per sottrarla all’elemento bucolico, alla finzione, alla polimatericità che, dopo la settecentesca stagione napoletana, ancora la qualifica.

 

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